giovedì 23 ottobre 2008



dal quotidiano “ Il Centro” - Martedì 21 Ottobre 2008


«Così è nato il piano Eni»
L’ex assessore Caramanico accusa la giunta Pace

«Il via libera al Centro oli l’ha dato, di fatto, la passata legislatura di centrodestra». Franco Caramanico punta il dito alle responsabilità della giunta di Giovanni Pace, in carica nel 2002 quando si delineava l’ipotesi dei pozzi petroliferi dell’Eni nell’entroterra ortonese. L’ex assessore regionale all’ambiente fa la storia delle tappe che hanno condotto alla recente decisione del Tar.

Sentenza che ha rigettato il megaricorso contro gli impianti di estrazione e preraffinazione del greggio nel cuore del distretto del Montepulciano.

«Tra i punti della sentenza che generano perplessità», spiega Caramanico, «spicca un dato incontrovertibile, che l’iter verso l’allestimento e l’entrata in funzione del Centro oli è stato imboccato con le autorizzazioni rilasciate dalla Regione a suo tempo.

Ma attenzione, le autorizzazioni discendono direttamente da una programmazione lacunosa, che ha spianato la strada al Centro oli.

Detto questo», prosegue, «tutti hanno dimenticato che l’ostacolo decisivo al futuro Centro oli era già disponibile nel 2001, con la legge 93 che istituiva il Parco nazionale della costa teatina. La giunta di centrodestra fece ricorso contro quella legge, anziché perimetrare il Parco, e l’anno successivo cominciò la procedura autorizzativa per i sondaggi petroliferi. Ecco quale fu l’errore, mentre noi da subito abbracciammo il progetto del parco costiero gettando le basi per la perimetrazione.

Fin da subito puntammo sul piano della qualità dell’aria», osserva, «loro invece hanno ignorato il decreto Marzano del ‘99, che noi abbiamo ripreso approvando un piano definitivo che oggi impedisce nuovi insediamenti di quel tipo. Nel piano energetico regionale abbiamo previsto il 51% da fonti rinnovabili entro il 2015, per un modello alternativo al petrolio. Del resto, la centrale turbogas di Gissi arrotonda al di sopra del fabbisogno regionale l’energia prodotta in Abruzzo.

Abbiamo, per così dire, già dato, mentre il Tar ci oppone una valenza strategica nazionale del petrolio abruzzese, una visione basata sui combustibili fossili già superata dai protocolli di Kyoto, che ora fanno scattare sanzioni all’Italia per inadempienze, 2,5 miliardi di euro ogni anno per 4 anni e una quota abruzzese di circa 50 milioni.

Passato a parte», annota, «oggi registriamo l’ampiezza del fronte del no, un capitale su cui giocare la battaglia per il rispetto delle vocazioni agricole e turistiche dell’Abruzzo». (f.b.)

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